Trascrizione dell'intervista al dott. Luca Memè
Direttore di ortopedia e traumatologia dell'AST di Pesaro e Urbino
Ortopedia a Fano: dall'eccellenza del passato al declino degli ultimi anni, fino alla possibile nuova alba di questi giorni. Ne abbiamo parlato con il dottor Luca Memè, direttore di Ortopedia e Traumatologia dell'AST Pesaro e Urbino. Le potenzialità, la ricetta per far funzionare gli ospedali di Fano e Pesaro dividendo le competenze fra le due branche di Ortopedia e Traumatologia, l'importanza della sanità pubblica e la concorrenza del privato, la questione dei posti letto e della carenza di medici e infermieri. L'appello alla politica perché agisca solo dopo aver ascoltato attentamente gli operatori sanitari.
Ioni: Anche questa mattina parliamo di sanità puntando i nostri riflettori su un settore che è stato per tantissimo tempo il vero orgoglio della sanità fanese: si parla addirittura di scuola di ortopedia nata a Fano e che ha avuto anche ottimi esponenti nella vicina Pesaro.
Stiamo parlando appunto di ortopedia e diamo il nostro buongiorno al direttore di ortopedia e traumatologia dell'azienda sanitaria territoriale, ospedali comunque, di Fano e Pesaro il nostro buongiorno al dottor Luca Memè, buongiorno.
Memè: Buongiorno a tutti voi, grazie per l'invito, molto onorato di partecipare alla trasmissione e speriamo che sia proficua e che interessi anche i radioascoltatori.
Ioni: Direi che l'interesse dei radioascoltatori è confermato da quanti like sono stati messi, veramente abbiamo raggiunto il centinaio, alla notizia appunto con la foto sua e sapere che sarebbe stato qui in trasmissione.
Dicevamo, allora, una grande scuola di ortopedia è stata fatta chiaramente dalle persone, dagli uomini, i medici che hanno fatto grande questa branca specialistica.
Poi siamo arrivati agli anni in cui dire ortopedia, Fano, Pesaro per carità scappa.
Adesso abbiamo avuto i comunicati in cui si parla di operazioni che vengono implementate in questa azienda sanitaria e addirittura interventi di chirurgia specialistici protesici che sono stati fatti al San Salvatore.
Vuol dire che stiamo risalendo? Vuol dire che è un tentativo che si cerca di fare a tutti i costi, ma soprattutto prelude a qualcosa di concreto per i nostri ospedali?
Memè: Questa è una domanda molto articolata che richiederebbe più di una trasmissione, però cercherò di essere sintetico e partire un pochino dalla storia, nel senso che l'ortopedia e traumatologia di Fano è stata la prima creata nelle Marche e alcuni anni fa abbiamo festeggiato i 40 anni di ortopedia e traumatologia.
Quando è stata fondata negli anni 70 dal professor Cormìo era l'ortopedia più grande delle Marche, credo avesse più di 100 posti letto.
Ovviamente una realtà che oggi non esiste in nessun'altra struttura ospedaliera, perché comunque sono cambiate le indicazioni, si trattano le patologie in maniera differente, una volta c'erano molte più terapie conservative adesso si è molto più interventisti.
Comunque sia la scuola del professor Cormìo ha dato adito a professionisti che hanno dimostrato nell'ambito lavorativo delle capacità professionali molto spiccate, ci sono stati tantissimi primari che sono usciti dalla scuola del professor Cormìo, ricordo il mio primario, dove mi sono formato dal 2003 in poi, il dottor Zandri, il dottor Di Placido che è stato primario ad Urbino, il dottor Zini che è stato primario a Pesaro e poi attualmente lavora nel privato convenzionato, tanti altri professionisti, il dottor Bruscoli.
Quindi comunque c'era una scuola che ha formato professionisti che si sono applicati cercando di mantenere il più possibile le loro professionalità all'interno della struttura pubblica.
Poi nel corso degli anni c'è stata un'evoluzione in cui si è rivisto il sistema sanitario nazionale e quindi anche regionale per cui siamo arrivati alla fase in cui c'è stata questa fusione tra Fano e Pesaro, per cui c'è stata una scelta di centralizzare tutti i posti letto sul presidio San Salvatore di Pesaro.
Io ho vissuto anche questa fase di passaggio per cui siamo stati in una fase di interregno, per poi riorganizzare un pochino le attività tra la città di Fano e la città di Pesaro.
Attualmente viviamo una situazione in cui cerchiamo di rispondere alle richieste della cittadinanza con un numero di posti letto che, paragonato a quello degli anni 70, è comunque di circa un quarto, ovverosia abbiamo 29 posti letto totali per un bacino di utenza superiore alle 200.000 persone e questo crea delle criticità gestionali, in quanto il paziente che presenta delle problematiche di tipo traumatologico ha precedenza rispetto al paziente che ha delle patologie di tipo ortopedico e che quindi sono differibili nella maggior parte dei casi.
Per cui il volume di attività che riusciamo a fare in questo momento è circa un 80% di patologia traumatologica a fronte di un 20% di patologia ortopedica e questo si ripercuote sul cosiddetto discorso della mobilità passiva, per cui tanti pazienti che hanno patologie ortopediche si rivolgono alle strutture fuori regione, anche perché nelle strutture fuori regione ci lavorano fior di professionisti che magari sono cresciuti prima, appunto, nella nostra area territoriale e che poi adesso, perché magari pensionati o hanno fatto delle scelte professionali diverse, si sono portati a lavorare nel privato convenzionato dove lavorano in maniera programmata e questo continua a perpetuare sostanzialmente il flusso di pazienti verso l'Emilia-Romagna.
È mio obiettivo sostanzialmente cercare di modificare un po' i percorsi all'interno delle due strutture Fano-Pesaro cercando di separare l'ortopedia dalla traumatologia, è un percorso che sto cercando di fare ormai da circa due anni e questo che siamo riusciti a fare oggi sostanzialmente spero sia solo il primo passo per separare le due branche dell'ortopedia-traumatologia, questo perché?
Perché sostanzialmente se separiamo le due branche riusciamo a fare un percorso in cui il paziente che ha una patologia a carattere degenerativo, quindi ortopedica, può avere un percorso dedicato, dove la traumatologia non influisce sul percorso dell'ortopedia.
In termini pratici attualmente, ad esempio, in ospedale nella stessa stanza possono stare dei genti pazienti con patologie completamente diverse, oppure se durante una giornata o più giornate c'è un accesso eccessivo di traumatologia questa attività viene un pochino a spostare l'attività programmata di ortopedia.
Separando le due branche questa situazione verrebbe sicuramente a migliorare, potendo migliorare le risposte per la cittadinanza e quindi io sto cercando di implementare questo tipo di percorso, sperando che riusciamo a migliorare ulteriormente il nostro servizio.
Ioni: Allora questo è un quadro in cui emerge una speranza, diciamo i possibili ostacoli... ancora non sappiamo, abbiamo un commissario nella nostra azienda sanitaria territoriale, quindi ancora manca un dirigente vero e proprio per capire appunto quali saranno poi gli obiettivi di un nuovo dirigente e a che cosa dirà sì e a che cosa dirà no, perché adesso grazie al commissario questo percorso è stato avviato poi non si sa che cosa succederà dopo.
Secondo, la carenza di medici, di ortopedici che vogliono lavorare nel pubblico e la carenza anche di personale infermieristico. Quanto pesa in questa volontà di rilanciare ortopedia nel nostro territorio?
Memè: Questa è una tematica che coinvolge più discipline, più specialistiche, nel senso che ormai è un problema che è presente su tutto il territorio nazionale e credo anche europeo questa carenza di medici che vogliono lavorare nel sistema sanitario nazionale, intendo nell'ospedale pubblico, se parliamo specificatamente di ortopedia le motivazioni sono numerose.
Se affrontiamo il percorso formativo di un medico che fa una specializzazione in ortopedia e traumatologia la cui durata è di 5 anni, adesso nel piano formativo sono previste delle sessioni in cui il medico in formazione frequenta strutture private e convenzionate, dove acquisisce delle metodologie di lavoro e sviluppa delle capacità improntate soprattutto a trattare le patologie ortopediche programmate e vedendo che rispetto all'attività che si svolge in ospedale una enorme differenza in termini di organizzazione, programmazione e riduzione anche dei rischi a cui si espone perché nella chirurgia programmata è possibile pianificare le variabili prima anche dell'intervento, nella chirurgia traumatologica queste variabili spesso non si è in grado di anticiparle, ma magari le trovi nel momento dell'atto chirurgico e nelle fasi successive con pazienti più complessi.
Questo fa sì che anche il medico specialista in formazione spesso, alla fine del periodo formativo, scelga la struttura privata convenzionata.
Io mi ricordo quando mi sono specializzato nel 2003 sostanzialmente tutti i medici neo-specialisti ambivano ad essere assunti in ospedale pubblico, c'erano concorsi per cui magari per un posto si partecipava in 5, 6, 7 medici specialisti.
Attualmente ci sono concorsi che non vengono espletati perché non ci sono candidati, questo perché è aumentato il numero di medici che si rivolgono al privato convenzionato e questa è sicuramente una criticità, alla stessa maniera secondo me anche l'aspetto infermieristico è una situazione che si presenta attualmente, ma anche essa penso che possa determinare un ulteriore peggioramento, perché comunque lavorare in ospedale spesso espone anche il personale infermieristico a dei turni di lavoro particolarmente intensi e alla fine c'è anche un discorso di sostegno economico secondo me non adeguato.
Ioni: Lavorano molto di più, prendono di meno e hanno più responsabilità.
Memè: In sintesi direi che questa non è l'unica problematica, ma indubbiamente in un momento in cui c'è un'offerta di lavoro particolarmente ricca, sia in ambito medico che infermieristico, è molto più difficile per il sistema pubblico essere attrattivi rispetto al privato convenzionato e di conseguenza adesso anche il discorso che tanta volte si sente delle cooperative, dei medici delle cooperative, sembra assurdo, ma a volte sono gli stessi medici che lavoravano prima nel sistema sanitario nazionale che vanno in aspettativa, fanno un contratto con la cooperativa e rientrano in ospedale con un riscontro economico nettamente superiore in regime di libera professione.
Ioni: Diciamo che quando è così per il paziente può andare anche bene, a volte in queste cooperative poi trova quello che si è appena laureato che non ha alcuna esperienza e soprattutto in un pronto soccorso in un dipartimento di emergenze, insomma, qualche pensiero te lo mette...
Memè: Ma indubbiamente, però questo è un problema che andrebbe affrontato a livello nazionale.
Ioni: Ecco, infatti sotto questo profilo le chiedo velocemente, perché poi vorrei tornare un attimo proprio a quello che è stato fatto a ortopedia, il numero chiuso a medicina è un problema? il vero problema sta invece nel percorso di specializzazione? che cosa bisognerebbe fare?
Memè: secondo me se siamo in grado di fare una selezione durante il periodo di formazione universitaria il numero chiuso non serve, probabilmente se il numero chiuso è stato fatto perché prima c'era una pletora di medici, adesso forse la struttura universitaria non è in grado di accogliere un elevato numero di iscritti per un problema di docenti, però siccome ci sono tanti ospedali l'università potrebbe fare delle joint venture con le strutture ospedaliere, anche noi siamo collegati con la clinica ortopedica di Ancona, per cui abbiamo anche noi medici specialisti in formazione e utilizzando le strutture ospedaliere sul territorio anche l'università potrebbe ampliare la sua offerta e di conseguenza rispondere a una maggior richiesta di iscritti, poi la selezione naturale avviene durante il corso di studi, o di laurea o di specialistica successiva.
Ioni: Diciamo che noi siamo da sempre fautori in maniera incredibile della sanità pubblica, il sistema sanitario pubblico italiano credo che sia stata una cosa straordinaria. L'importanza della sanità territoriale è stata dimostrata anche durante il Covid.
La realtà però è quella che lei ha descritto: lavorare nel pubblico è sempre più difficile, lavorare nel privato è sempre più attrattivo e crea poi quella mobilità passiva di cui abbiamo parlato, di cui Cotignola è solo un esempio - fra l'altro Cotignola si è allagata adesso [maggio 2023], i cento ricoverati sono stati spostati, addirittura un macchinario che avevano in pochi in Europa è andato sott'acqua, ma indipendentemente da questo - qualcuno potrebbe dire ci sono questi benedetti, maledetti 50 posti letto di ortopedia che la Regione deve assegnare, devono andare all'ospedale di Fano, servono 50 posti letto di ortopedia all'ospedale di Fano? conviene fare allora cliniche convenzionate nelle Marche, nel nostro territorio, nella nostra provincia, per evitare la mobilità passiva? che cosa pensa di questo?
Memè: Io penso che dobbiamo comprendere che dobbiamo dare le stesse opportunità all'ospedale e al privato convenzionato, dove dobbiamo lavorare con gli stessi principi e con gli stessi diritti e mi spiego in pratica: la provincia di Pesaro è l'unica provincia che non ha una casa di cura privata convenzionata, le hanno tutte le altre province la provincia di Pesaro no.
Tante volte viene detto che a casa di questa situazione questo favorisce la mobilità passiva nel privato convenzionato e in Emilia-Romagna e allora dicono se facciamo la casa di cura in provincia di Pesaro gli stessi pazienti che adesso vanno in Emilia-Romagna li tratteniamo in provincia, però se si fa questo percorso qui ovviamente ulteriormente aggraviamo il problema nell'ospedale pubblico, perché sinceramente tutti i giorni spesso penso per me e per i miei collaboratori, che sono numerosi e anche giovani, che dobbiamo crescere professionalmente sia in ambito di traumatologia che in ambito di ortopedia, ovviamente se si fa una casa di cura privata convenzionata nella nostra provincia sostanzialmente è naturale che farà solo la specialistica ortopedica e di conseguenza in ospedale rimane solo la traumatologia, questo creerebbe ulteriore scompenso nel senso che i medici a quel punto specialisti in ortopedia e traumatologia probabilmente sarebbero attratti molto di più dalla casa di cura privata convenzionata, quindi andando ad arrecare un danno anche a livello del personale ospedaliero.
Allora, in questo contesto io sostengo che secondo me 50 posti letto per ortopedia in un ospedale non sono paventabili, nel senso che per gestire 50 posti letto per ortopedia ci vogliono almeno 30 medici specialisti ortopedici, che non ce ne sono né da noi né in nessun'altra provincia, alla stessa maniera darli tutti a privato comporterebbe lo stesso problema, quindi non è perseguibile.
Secondo me, per una buona distribuzione di risorse umane e di casistica operatoria per l'ospedale pubblico sarebbero sufficienti 10, massimo 15, posti letto di ortopedia, e gli altri eventualmente se l'assessore o se la Regione decide di attribuirli al privato convenzionato penso che possa essere una cosa razionale e una cosa eticamente corretta e a quel punto possiamo valutare effettivamente se poi anche noi gestendo 15 posti letto di ortopedia in ospedale siamo sufficientemente attrattivi per poter garantire una performance in ambito di risultati, come lo sarebbe eventualmente il privato dove il paziente a quel punto sceglie.
Se, invece, lasciamo le cose come sono adesso ovvio che facciamo due campionati diversi noi dell'ospedale pubblico rispetto ai colleghi che lavorano nel privato convenzionato
Ioni: Certo, hai visto che c'è già questa grossa sensazione di voler puntare molto più sulla sanità privata che su quella pubblica nel nostro Paese direi che il discorso mi verrebbe da chiederle "ma chi glielo fa fare a lei di rimanere nel pubblico", però non voglio...
Memè: Tante volte me lo chiedo...
Ioni: Veniamo invece a questo discorso importante fare protesi all'ospedale di Fano devo dire che fino a che non è uscita questa notizia sembrava dire "ma cosa stai facendo? che cosa stai scegliendo per la tua salute? fai altro, scegli altro" e invece anche questo è stato fatto dimostrando che quando si dà la possibilità al pubblico di poter agire bene funziona.
Memè: Sì, io di questo ringrazio l'attuale commissario straordinario e tutti i dirigenti che mi hanno sostenuto.
Diciamo che è una cosa che io chiedevo da tempo, ma tante volte mi è sempre stato risposto "no, non è possibile" e circa un mese fa a colloquio con il nuovo commissario straordinario, con il dottor Gentili, ho affrontato lo stesso argomento e sono rimasto anch'io così esterrefatto e altrettanto entusiasta della risposta che mi ha detto "sì, dai, cominciamo a fare questo tipo di chirurgia".
Abbiamo cominciato utilizzando la sala operatoria un solo giorno alla settimana, il mercoledì, lo faremo per tutto il mese di maggio, e questo periodo ci è servito per costruire un percorso. Questa mia richiesta si riallaccia un pochino alla risposta che ho dato precedentemente, cioè finalizzata a migliorare il percorso ortopedico separandolo da quello traumatologico.
Prché ho scelto Fano rispetto a Pesaro?
Pesaro sostanzialmente, secondo me, è un ospedale che dobbiamo utilizzare maggiormente per il paziente acuto, per il paziente traumatizzato, nel quale ci sono tutte le specialistiche per la diagnostica vascolare, la neurochirurgia, la chirurgia generale e in più l'ospedale di Fano a livello di comfort alberghiero, di struttura, di percorsi interni, di degenza è superiore secondo me a quello di Pesaro.
Il blocco operatorio di Fano è più nuovo, lo abbiamo utilizzato anche durante il periodo Covid per fare interventi di chirurgia programmata, di chirurgia protesica e abbiamo visto che è in grado benissimo di essere utilizzato per questo scopo, per cui, secondo me, i due ospedali dovrebbero cooperare facendo percorsi diversi piuttosto che fare percorsi che si sovrappongono determinando un dispendio di risorse sia economiche, che di risorse umane.
L'obiettivo ulteriore è quello di migliorare anche il know-how tecnologico, è da tanto che sto cercando di perseguire l'utilizzo della chirurgia robotica, speriamo che riusciamo ad ottenere anche quello finalizzato a cercare di essere più attrattivi rispetto alle strutture del privato convenzionato che si trovano poco dopo la provincia di Pesaro.
Ioni: Quindi diciamo che in pratica mi viene da pensare, sempre guardando al passato con grande rimpianto, come non sia andato a buon fine quello che era il progetto di integrazione fra gli ospedali di Fano-Pesaro avviato ormai tanto tempo fa e purtroppo poi arenatosi e adesso siamo lì che abbiamo due punti nascita, che si chiede che quello che c'è qui ci sia anche là, senza tener conto del fatto che il bacino di utenti è quello che è, insomma siamo in una provincia di 150 mila abitanti, più di tanto non è che si può fare e per rendere attrattivo un ospedale pubblico non bisogna avere due piccoli ospedali di primo livello, ma forse sarebbe stato importante avere qualcosa di più attrattivo, anche per i medici, tempo fa.
Memè: Sì, indubbiamente, diciamo che ormai abbiamo una situazione di questo tipo che dobbiamo cercare di migliorare, non entro nello specifico ospedale unico o due ospedali, sicuramente serve un ospedale nuovo, ovviamente perché la provincia di Pesaro rispetto alle altre province delle Marche è quella più disagiata, perché i numeri non li invento io, ma sono consultabili sul sito del Ministero, sono piuttosto netti, dove abbiamo un numero di posti letto per abitante più basso di tutte le altre province.
La provincia di Pesaro è quella che ha l'aspettativa di vita più lunga rispetto alle altre province, quindi la popolazione anziana e conseguentemente sostanzialmente la criticità che tutti i giorni viviamo con il numero di posti letto Fano-Pesaro è piuttosto importante, è ovvio che non è solo l'ospedale che gestisce la acuzia ma è tutto il territorio che dovrebbe avere anche dei posti letto per accogliere i pazienti dopo la dimissione dall'ospedale e anche su quello c'è tanto da fare, questo non solo nella nostra provincia ma in tutta la regione, però le criticità sono state evidenziate anche dai politici, speriamo che riusciamo a fare un percorso appena sarà nominato il nuovo direttore generale e di aggiustare queste criticità.
Ioni: Diciamo, in questo momento abbiamo pochissimi minuti di tempo, in questo momento che cosa si fa di concreto e di attrattivo per chi ha problemi ortopedici?
Abbiamo detto traumatologici è un altro discorso, uno non sceglie nel momento in cui ha un trauma, ma nel momento in cui programma un intervento anche di protesi, che garanzie può avere che qui avrà il meglio?
Memè: Attualmente le criticità le ho evidenziate prima, l'obiettivo è arrivare a standardizzare i percorsi di reclutamento, cioè finalizzate a dire al paziente, una volta presi in carico, dovrei essere quasi in grado di dire al paziente la data dell'intervento, cosa che riescono a fare i colleghi che lavorano nel privato convenzionato, questo è ottenibile solamente se riusciamo ad ottenere delle sale operatore dove facciamo solo l'ortopedia, questo è il primo obiettivo.
Il secondo obiettivo ovviamente è cercare di seguire le linee guida nell'ambito della evoluzione delle tecniche e dei sistemi che vengono utilizzati nell'ambito della chirurgia ortopedica. La prima cosa è la mini-invasività e quello già lo siamo in grado di farlo anche nella chirurgia diciamo ortopedica protesica e poi utilizzare praticamente quello che sembra una naturale evoluzione che si parla di intelligenza artificiale e anche la chirurgia robotica dove non penso che il robot sia la soluzione dei problemi, ma indubbiamente aumenta l'accuratezza dell'atto chirurgico, perché sopra c'è sempre il chirurgo che utilizza il robot, non è il robot che fa l'atto chirurgico, ma è il chirurgo che lo controlla e a questo va aggiunto appunto poi disponibilità di posti letto in maniera tale da poter programmare questo tipo di percorsi.
Se non otteniamo questi tre elementi sostanzialmente parleremo e ci rincontreremo fra un anno parlando delle stesse problematiche.
Ioni: Se non peggio, perché credo che la cosa naturale se non si agisce in questo modo sia la chiusura possibile di qualche altro ospedale nel nostro territorio, non sto parlando dei piccoli ospedali.
Detto questo noi ci auguriamo che appunto il nuovo dirigente, molti dicono speriamo sia in continuità, noi ci auguriamo che la politica ragioni per il bene dei cittadini e non semplicemente per mettere delle bandierine di vittoria politica di qua o di là e la mobilità passiva si risolve creando qui degli ottimi servizi nel pubblico, credo che sia l'unica cosa su cui tutti possono essere sicuri e permettere a chi ha idee, potenzialità, professionalità, capacità di fare quello che vuole fare, glielo auguro di cuore dottor Memè.
Memè: La ringrazio e spero che quello che lei ha appena detto possa essere mantenuto indipendentemente dai colori politici di ognuno di noi, sostanzialmente penso che il politico, soprattutto quando si parla di sanità, dovrebbe ascoltare chi lavora sul campo e congiuntamente fare dei percorsi e non imporre decisioni senza consultare chi lavora, perché altrimenti andremo sempre in un sistema che non porta un risultato per i pazienti e per i cittadini e siccome ribadisco, e sono riflessioni che faccio quando guardo i dati statistici, che appunto la medicina ha fatto enormi progressi, conseguenzialmente la vita media si è allungata moltissimo, ma alla stessa maniera è aumentata la complessità del paziente che vive più a lungo, ma con più patologie, e quindi bisogna migliorare anche i servizi in risposta a questa aumentata complessità dei pazienti e per fare questo bisogna ascoltare gli operatori che lavorano in ospedale.
Ioni: Assolutamente e quindi spero che quando ci ritroveremo la prossima volta sia stato fatto un passo avanti in questa direzione e non nelle altre che abbiamo paventato. Grazie veramente al dottor Luca Memè per essere stato nostro ospite.