Affreschi trecenteschi nella Sala Verdi del Teatro della Fortuna (*)
Insieme degli affreschi trecenteschi nel Palazzo del Podestà, a sinistra dell'affresco centrale si intravede lo stemma del Comune (foto di Simone Giacomoni) |
"Gli stemmi del Comune e di Galeotto Malatesti tra gli affreschi sacri nell'antico Palazzo del Podestà di Fano" di Antonio Conti
Nata dalla curiosità di verificare se nell'antico Palazzo del Podestà di Fano fossero rimaste decorazioni araldiche, questa ricerca ha potuto svelare non solo la presenza di affreschi che sono ben altro che vaghe macchie di colore, ma ha permesso di rilevare la presenza del più antico stemma dipinto del Comune di Fano
Estratto dai primi capitoli
1. Un palazzo bello e sfortunato - 2. Palazzi decorati - 3. Affreschi distrutti, occultati e dimenticati - 4. Il dramma, la riscoperta e ancora l'oblio - 5. La mia riscoperta - 6. Lo stemma di Fano
1. Un palazzo bello e sfortunato
Tra i monumenti medievali di Fano, spicca indubbiamente il Palazzo del Podestà che da sette secoli impone la sua presenza sulla maggiore piazza della città. L'edificio è oggi noto come Teatro della Fortuna e ospita un magnifico teatro in stile neoclassico.
Bello e sfortunato, questo maestoso palazzo, emblema della libertà comunale fanese, ha subito nei secoli numerosi interventi che ne mutarono la fisionomia.
2. Palazzi decorati
Durante il basso Medioevo, nei palazzi pubblici il repertorio degli stemmi rappresentati fu vasto e variabile da luogo a luogo: gli stemmi delle istituzioni che reggevano la città, come il Comune e il Popolo; quelli delle formazioni politiche operanti in città come la parte guelfa o quella ghibellina; gli stemmi dei quartieri, quelli delle arti e dei magistrati chiamati a reggere le istituzioni cittadine; spesso anche le insegne araldiche dell'autorità sovrana (Papato o Impero).
Focalizzando l'attenzione sul Palazzo del Podestà e in particolare sulla vasta sala del primo piano [oggi Sala Verdi] si deve rilevare come la storiografia fanese abbia già evocato la presenza di decorazioni pittoriche, in particolare del palazzo podestarile:
«il piano superiore era totalmente (o in massima parte) occupato da un vasto salone, con le pareti decorate ad affreschi, destinato alle riunioni del civico Consiglio» (a).
A descrivere l'uso della rappresentazione delle armi podestarili in questo ambiente, purtroppo senza indicare con precisione la fonte, fu Stefano Tomani Amiani, nel suo libro Del Teatro antico della Fortuna in Fano e della sua riedificazione pubblicato nel 1867.
Pianta del teatro polettiano (S. Tomani Amiani "Del Teatro antico della Fortuna in Fano e della sua riedificazione", 1867) |
Tomani Amiani ci informa sull'usanza di rappresentare gli stemmi podestarili nella grande sala, ma anche sul fatto che per alcuni giorni riemersero parti di queste antiche pitture, in seguito allo smantellamento delle vecchie strutture torelliane, e prima della ristrutturazione della sala su progetto dell'architetto Luigi Poletti (b).
Sono certamente le stesse pitture oggetto di questo saggio.
3. Affreschi distrutti, occultati e dimenticati
Il teatro neoclassico polettiano fu addossato al Palazzo del Podestà che a sua volta subiva pesanti trasformazioni. Il teatro di Torelli fu smantellato e la grande sala, ormai vuota, fu tagliata longitudinalmente con uno spesso muro per realizzare l'ampia galleria tuttora esistente che dà accesso al terzo ordine del teatro.
Quel che restava del salone fu ulteriormente diviso con un muro trasversale che s'inseriva nella controfacciata proprio nell'area dove restavano parti delle pitture medievali viste in quel frangente da Stefano Tomani Amiani, ottenendo così ambienti separati (c).
Sezione longitudinale del Teatro, disegno acquarellato di Luigi Poletti (F. Battistelli, "Il Teatro della Fortuna. Appunti per una monografia", 1968) |
4 - Il dramma, la riscoperta e ancora l'oblio
Nell'agosto 1944 le truppe tedesche, dopo un primo tentativo fallito, realizzarono il preannunciato abbattimento della torre del Bonamici che nel crollo travolse anche il Palazzo del Podestà smembrandolo e privandolo della parte meridionale comprendente l'attiguo arco del portico e la soprastante quadrifora.
I lavori di recupero dell'edificio cominciarono presto, ma dalle carte d'archivio emergono incomprensioni e l'assenza di un forte coordinamento unico nell'opera di ricostruzione del Palazzo, anche al di là dalle forti polemiche riguardanti le scelte sulla riedificazione della torre.
Attori principali in questa prima fase furono la Soprintendenza di Ancona, il Genio Civile, il Comune di Fano e Pier Carlo Borgogelli Ottaviani, ispettore onorario ai
monumenti e alle gallerie nonché soprintendente al Museo Civico.
Nel 1946, la caduta nella Sala Verdi della decorazione parietale in stucco e
pittura realizzata da Poletti fece riemergere parti dei dipinti che in epoche più antiche decoravano l'ambiente, come si evince da una lettera inviata da Borgogelli al soprintendente Pacini (d).
Il 2 giugno Pasquale Rotondi, soprintendente alle Gallerie, è a Fano e visita il luogo del ritrovamento degli affreschi, accompagnato da Borgogelli; dopo il sopralluogo scrive a Pacini:
«Gli affreschi frammentari rinvenuti al piano superiore del Palazzo della Ragione, risalgono - per quanto è possibile giudicare sommariamente nelle attuali condizioni - alla metà del sec. XIV. I frammenti, invece, con gli stemmi, sull'altra parete, in basso, sono da riferire al gotico fiorito (fine del XIV o primi del XV secolo).
Sarei d'avviso che tutti i frammenti scoperti rimanessero in vista e che fosse demolito il muro divisorio della sala.» (e)
Nei giorni successivi, Borgogelli, che aveva già accompagnato Rotondi nel sopralluogo, tornò sul luogo dei ritrovamenti e quindi scrisse nuovamente a Pacini, sollecitando interventi per la conservazione e la valorizzazione degli affreschi in linea con quanto proposto da Rotondi:
«In un sopralluogo fatto ieri al Palazzo della Ragione mi convinco sempre più che sarebbe ottima cosa buttare via il muro che è tra il Salone e le due camere; è in cattivo stato, e togliendolo, si libererebbero gli affreschi sia in alto sia in basso.» (f)
Gli affreschi nella Sala Verdi, pare che abbiano suscitato poco interesse, se non da parte di Borgogelli e Rotondi.
Dalle carte degli archivi consultati (g), non emergono particolari notizie sugli affreschi di Sala Verdi. Dopo le preziose indicazioni di Pasquale Rotondi, del 1946, si trova pochissimo: l'indicazione della necessità di installare più in alto il graticcio del palcoscenico (con l'aggiunta delle aree affrescate in un disegno del progetto) e l'indicazione di intonacare la sala «fatti salvi gli affreschi».
Sostanzialmente nulla a fronte di lavori complessi che si protrassero per decenni tra sospensioni e riprese. Oltre a ciò esiste solo un appunto, non datato, rivolto al funzionario tecnico della Soprintendenza di Ancona, Franco Battistoni nel quale si accenna alle necessità di restauri. A ciò si aggiunge la preziosa testimonianza del geometra Manna dell'Ufficio Tecnico del Comune:
«Nell'anno 1984 si provvedeva ai lavori di restauro della sala Verdi e
consolidamento delle volte. A loro tempo gli intonaci della sala erano stati in parte rimossi, pertanto si rendeva necessario rimuovere le parti rimanenti.
In tale periodo vennero alla luce degli affreschi, casualmente la Soprintendenza di Urbino stava restaurando gli affreschi delle volte, immediatamente convocata si provvedeva al loro consolidamento stabilendo che il periodo risale agli anni 1300. Allo scopo di conservare tali affreschi il soffitto della Sala Verdi è stato rialzato secondo il progetto di circa 50 cm».
Quando il Teatro fu inaugurato, lo sfavillio delle dorature, i riflessi delle vetrate e degli specchi, i colori pieni delle tappezzerie e l'emozione del pubblico per l'agognata riapertura del Teatro, fecero dimenticare i polverosi e frammentari affreschi trecenteschi dell'antica sala comunale del Palazzo del Podestà.
Dunque, sebbene visibile a tutti, questa testimonianza della storia civile e sacra della città è rimasta sconosciuta per tutto il ventennio successivo alla riapertura del Teatro, fino ad oggi.
5 - La mia riscoperta
Nel dicembre 2018 chiesi l'autorizzazione per verificare la presenza di qualche stemma nella vasta Sala Verdi, pur sapendo che era stata pressoché totalmente rinnovata.
Il sottotetto, nelle cui pareti si trovano talvolta avanzi di pitture superstiti, protette ma celate dalla realizzazione di soffitti, è irraggiungibile; oltretutto non ha avuto la fortuna di rimanere isolato per secoli, ma è stato coinvolto nella turbinosa vicenda della sala appena narrata (h).
Quanto alle pareti della sala, sapevo che l'unica parte medievale è la controfacciata, là dove sono state opportunamente lasciate scoperte dal moderno intonaco ampie aree ben visibili seppur non intelligibili per il pessimo stato di conservazione della pittura, ma anche a causa dell'inadeguata illuminazione che ordinariamente privilegia il palco e la platea. A occhio nudo non si va oltre l'individuazione di teste areolate, come indicato da Tomani Amiani a metà Ottocento.
Ad aprile potei finalmente realizzare delle fotografie, per osservare meglio i dipinti. L'esito dell'indagine fotografica andò ben oltre le mie attese. Fu confermato anche dalla seconda campagna fotografica realizzata in condizioni di luce migliore, con competenza e mezzi adeguati, da Simone Giacomoni, che ringrazio.
Insieme degli affreschi trecenteschi nel Palazzo del Podestà (foto di Simone Giacomoni) |
Nell'area a sinistra è chiaramente rappresentata una Madonna col Bambino in Trono, una Maestà). È la figura che già Rotondi aveva abbozzato nel suo appunto del 1946, quando ancora su questo affresco s'inseriva la parete divisoria eretta da Poletti per realizzare i più piccoli ambienti del Casino.
A destra, più in alto, c'è la grande porzione di un altro affresco che si compone di tre sezioni. Al centro si distinguono le teste e le spalle di due santi, spiccano le loro aureole anche per l'ombra che producono.
Fuori dal quadro della rappresentazione dei santi, al di là della cornice, ma collocati simmetricamente a questa, e quindi contestuali, sono rappresentati due stemmi.
Alla sinistra è affrescato lo stemma di Fano. Si vede bene la parte sommitale arrotondata dello scudo rappresentato come se fosse sorretto da un grosso gancio per mezzo di una forte correggia [cinghia]. L'arma di Fano è la consueta, si vedono perfettamente i primi due merli della partizione bianco-rossa.
La porzione di affresco con lo stemma di Fano (dal video di presentazione del presente saggio) |
Alla destra c’è lo stemma di Galeotto I Malatesti (1300 c.-1385) che s'individua più difficilmente per la tenuità dei colori superstiti. La parte sommitale dello scudo è quella meglio conservata; per proporzioni e forma è uguale a quella dello stemma comunale.
Ancora più a destra, al di là della seconda quadrifora, è presente un'altra area affrescata ma lo stato della pittura non mi ha permesso di leggervi nulla, se non il probabile panneggio dell'abito di un soggetto, in basso a sinistra.
6. Lo stemma di Fano
Anche a Fano, come avvenuto in altre realtà, l'origine dello stemma composto da due colori è stata ricondotta alla pacificazione tra due opposte fazioni cittadine: quella guelfa capeggiata dai Del Cassero e quella ghibellina capeggiata dai Da Carignano.
In generale queste leggende, non sono documentate, e sono per lo più fiorite nel XVII secolo, come a Fano, dove il primo a narrarla pare essere stato Vincenzo Nolfi (i).
Di solito queste ricostruzioni sono respinte dalla più recente rilettura araldica, ma già l'Amiani sollevò dei dubbi, in parte condivisibili.
Al di là della leggenda, che pur rende accattivante la vicende dello stemma fanese, bisogna rilevare come quella adottata sia una soluzione semplice ed efficace per comporre gli smalti che caratterizzano, o caratterizzavano, le insegne araldiche di ben undici delle quindici civitas medievali delle attuali Marche.
Nelle Marche è possibile apprezzare un'ampia rassegna di santi protettori reggenti il vessillo civico, il gonfalone, del quale a Fano restano due significative testimonianze.
La più nota è l'impreciso dipinto di Ragazzini nella cupola di San Paterniano; meno nota, ma più coerente, quella consistente nel bassorilievo di san Paterniano vessillifero custodito al Museo Civico.
Chiesa di San Paterniano, cupola affrescata da Giovan Battista Ragazzini, in basso a sinistra San Paterniano con il gonfalone (da lavalledelmetauro.it) |
La combinazione cromatica del rosso e del bianco è certamente quella con maggior efficacia visiva (non a caso è usata ancora oggi nella segnaletica stradale di pericolo) ma, pur come ipotesi altamente congetturale, è stata connessa all'esercizio dell'autorità pubblica.
Infatti, potrebbe essere stato il vessillo imperiale rosso e bianco ad indurre i nascenti comuni ad adottare quei colori per la loro insegna di guerra nel momento in cui acquisivano a massima autonomia.
A tal proposito si può ricordare che la Chiesa, autorità che a Fano sostituì l'Impero nell'alta sovranità all'inizio del XIII secolo (concedendo ampia autonomia in competizione con l'Impero), intese imitare quest'ultimo nell'esercizio del potere temporale anche con simboli e colori: il bianco e il rosso, peraltro già dotati di valenza religiosa.
Lo stemma compare al centro del sigillo del Popolo della città di Fano, assieme a un piccolo leone rampante collocato sotto la punta dello scudo, nel mezzo del giro della legenda ove è scritto «+ S. POPVLI CIVITATIS FANESSIS» (j).
"Si parla de' sigilli più antichi che conservi la città di Fano" (D.M. Manni, "Osservazioni istoriche sopra i sigilli antichi de' secoli bassi", 1739) |
La contemporanea presenza di questi due emblemi nel sigillo genera qualche confusione non ancora chiarita.
A parte l'impronta sigillare del Popolo (non datata), a giudizio dell'Amiani l'esemplare più antico dello stemma fanese sarebbe quello lapideo ora conservato a San Domenico, che egli data al 1230 (k) e altri, più verosimilmente, al secolo successivo (l).
(P.M. Amiani, "Memorie Istoriche della Città di Fano", 1751) |
È molto antico anche lo stemma murato al centro della facciata del Palazzo del Podestà (edificato a partire dal 1299) che è dotato di una ricca cornice e una forte correggia scolpita che simula l'affissione dello scudo per mezzo di un gancio.
Si tratta di una tipologia di rappresentazione araldica arcaica, una tipologia che per l'uso della correggia si riscontra anche negli affreschi di Sala Verdi.
Stando così le cose, con la sua riscoperta, lo stemma affrescato in Sala Verdi diventa l'esemplare più antico dotato di colori.
Conclusioni e auspici
A questo punto auspico che la riscoperta di questi affreschi, (visibili a tutti, ma a tutti sconosciuti) possa dare avvio ai necessari studi archivistici, per verificare se esistano documenti relativi alla committenza e all'esecuzione, in un'azione di valorizzazione che certamente deve comprendere lo studio materiale dell'opera e il suo restauro, oltre alla creazione di strumenti minini di fruizione da parte del pubblico, garantendo un'adeguata illuminazione e un apparato didascalico che ne facciano apprezzare la bellezza e l'importanza che sicuramente aumenterà grazie a un adeguato restauro.
Note
- F. Battistelli, "Edifici pubblici e privati e Palazzo dei Malatesti", in "Fano medievale", a cura di F. Milesi, 1997, p. 156
- S. Tomani Amiani, "Del Teatro antico della Fortuna in Fano e della sua riedificazione", 1867, pp.22-23
- F. Battistelli, "Il Teatro della Fortuna. Appunti per una monografia", in "Fano. Supplemento al Notiziario di informazione sui problemi cittadini", 1968, p. 202
- Archivio Soprintendenza per i Beni Architettonici, lettera del 25 maggio 1946
- Archivio Soprintendenza per i Beni Architettonici, lettera del 12 giugno 1946
- Archivio Soprintendenza per i Beni Architettonici, lettera del 15 giugno 1946
- Archivio cartaceo e fotografico dell'ex Soprintendenza Architettonica per le Marche (Ancona), Archivio cartaceo e fotografico dell'ex Soprintendenza ai Beni Storico Artistici delle Marche (Urbino); Archivio del Comune di Fano; Archivio dell'Ufficio Tecnico di Fano; Fondo dell'Ufficio Tecnico del Comune di Fano presso la Sezione di Archivio di Stato di Fano; Archivio dell'architetto Giovanni Fabbri presso l'Archivio progetti dell'Università Iuav di Venezia
- Cosa che non esclude totalmente possa trovarsi qualcosa anche lì
- V. Nolfi, "Delle notizie historiche sopra la fondatione, varietà de' governi e successi memorabili della Città di Fano", 1665 (manoscritto), pp. 291-292
- D.M. Manni, "Osservazioni istoriche sopra i sigilli antichi de' secoli bassi", 1739, tomo V, pp. 38-55. Si legga Fanensis in luogo di Fanessis, p. 42
- P.M. Amiani, "Memorie Istoriche della Città di Fano", 1751, pp. 21-22
- L. Masetti, "Osservazioni critiche e opinamenti sullo stemma della città di Fano, il tempio della Fortuna e la basilica di Vitruvio", 1874, pp. 9-10
(*) Riferimenti e link
- A. Conti, "Gli stemmi del Comune e di Galeotto Malatesti tra gli affreschi sacri nell'antico Palazzo del Podestà di Fano (Sala Verdi del Teatro della Fortuna)", in "Nuovi Studi Fanesi", n. 31/2019, pp. 7-64
- A. Conti, "Affreschi araldici e sacri trecenteschi nel Palazzo del Podestà di Fano"
- Presentazione del saggio, Mediateca Montanari, 1 febbraio 2020